SCRITTI DI CHIARA D’ASSISI
– Regola –
Traduzione e note di
Feliciano Olgiati
Schede di Chiara Augusta Lainati
– Edizioni Messaggero Padova – © Movimento francescano Assisi – 2001
PREFAZIONE
– Regola –
La Regola di santa Chiara del 1253, o meglio la Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere di San Damiano, di cui Chiara ebbe l’approvazione dalla Sede Apostolica solo due giorni prima della sua morte (9 agosto 1253), è il punto di arrivo di una serie di esperienze, attraverso cui il gruppo di San Damiano è passato, per decenni, scivolando sempre invitto attraverso pressioni esterne per mitigare la povertà assoluta, in comune oltre che personale, che – come è il nucleo centrale della Regola definitiva (c. VI) – così fu certamente anche il primo fondamento della fraternità, nella «formula vitae» iniziale, data da san Francesco al sorgere del nuovo Ordine e citata dalla Regola stessa al cap. VI, oltre che da altre fonti.
Attraverso un iter complesso, variamente studiato, la formula iniziale data da san Francesco al monastero di San Damiano (1211-1218) si evolve, senza nulla perdere tuttavia di quella ispirazione fondamentale che ha determinato l’Ordine nella mente e nel cuore di san Francesco.
Per questo la Regola del 1253 – a ventisette anni dalla morte di san Francesco – è detta, con piena verità, dalla Sede Apostolica: «la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima povertà che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare». (Regola, 16).
Alla base della forma di vita di santa Chiara è l’esperienza dell’umiltà e della povertà del Figlio di Dio, il messaggio evangelico del «perdere la propria vita» (Mt. 10, 39) sui passi di Cristo e della sua Madre poverella. Un retrocedere di sé, di fronte a un «dono» di grazia, la stessa di san Francesco: «la grazia di fare penitenza… vivendo secondo la perfezione del santo Vangelo» (Regola c. VI, 1.3).
E, accanto a questa, l’altra grazia, ugualmente evangelica e francescana della fraternità, anch’essa «dono», in cui non più il singolo, ma l’intero gruppo fa esperienza di quell’amore che comunica e stringe, in un’unica vita, quanti da Dio sono nati.
La divisione in capitoli non esiste nel testo originale, che si conserva tra le reliquie del Protomonastero di Santa Chiara in Assisi. La traduzione, di F. OLGIATI è sulla recente edizione di I. BOCCALI, Concordantiae verbales opusculorum S. Francisci et S. Clarae Assisiensium, S. Mariae Angelorum – Assisii 1976, pp. 167-184.
REGOLA
BOLLA DI PAPA INNOCENZO IV
2744
1Innocenzo vescovo, servo dei servi di Dio(1). 2Alle dilette figlie in Cristo Chiara abbadessa e alle altre sorelle del monastero di San Damiano d’Assisi, salute e apostolica benedizione.
2745
3La Sede Apostolica suole acconsentire ai pii voti e benevolmente favorire gli onesti desideri di coloro che chiedono. 4Ora, da parte vostra ci è stato umilmente richiesto che ci prendessimo cura di confermare con la nostra autorità apostolica 5la forma di vita(2), secondo la quale dovete vivere comunitariamente in unità di spiriti e con voto di altissima povertà[i], 6che vi fu data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente accettata, 7quella che il venerabile nostro fratello vescovo di Ostia e Velletri ritenne bene che fosse approvata, come è ampiamente contenuto nella lettera scritta a proposito dallo stesso vescovo.
2746
8Noi pertanto, ben disposti ad accogliere la vostra supplica, ratificando di buon grado quanto sopra ciò è stato fatto dal medesimo vescovo, lo confermiamo col potere apostolico e l’avvaloriamo con l’autorità del presente scritto, 9nel quale facciamo inserire parola per parola il testo della stessa lettera, che è questo:
2747
10Rinaldo, per misericordia di Dio vescovo di Ostia e Velletri, alla sua carissima in Cristo madre e figlia Donna Chiara, abbadessa di San Damiano in Assisi, 11e alle sorelle di lei, presenti e future, salute e paterna benedizione.
2748
12Poiché voi, figlie dilette in Cristo, avete disprezzato le vanità e i piaceri del mondo 13e seguendo le orme[ii] dello stesso Cristo e della sua santissima Madre, avete scelto di abitare rinchiuse e di dedicarvi al Signore in povertà somma per potere con animo libero servire a Lui, 14noi, encomiando nel Signore il vostro santo proposito, di buon grado vogliamo con affetto paterno accordare benevolo favore ai vostri voti e ai vostri santi desideri.
2749
15Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l’autorità del signor Papa e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi succederanno nel vostro monastero e con l’appoggio della presente lettera avvaloriamo 16la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima povertà[iii], che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui riprodotta. 17Ed è questa:
1.
Nel nome del Signore
incomincia la Forma di vita
delle Sorelle Povere
2750
1La Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere(3), istituita dal beato Francesco(4), è questa:
2Osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.
2751
3Chiara, indegna serva di Cristo e pianticella del beatissimo padre Francesco, promette obbedienza e riverenza al signor papa Innocenzo e ai suoi successori, canonicamente eletti e alla Chiesa Romana.
2752
4E, come al principio della sua conversione, insieme alle sue sorelle, promise obbedienza al beato Francesco, cosi promette di mantenerla inviolabilmente ai suoi successori.
2753
5Le altre sorelle siano tenute ad obbedire sempre ai successori del beato Francesco e a sorella Chiara e alle altre abbadesse, che le succederanno mediante elezione canonica(5).
2.
Di coloro che vogliono abbracciare questa vita
e come devono essere ricevute
2754
1Quando qualcuna, per divina ispirazione, verrà a noi con la determinazione di abbracciare questa vita, l’abbadessa sia tenuta a chiedere il consenso di tutte le sorelle, 2e se la maggioranza acconsentirà, la possa accettare, dopo aver ottenuto licenza dal signor cardinale nostro protettore.
2755
3Se le sembra idonea ad essere accettata, la esamini con diligenza, o la faccia esaminare intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa.
2756
4E se crede tutte queste cose, ed è risoluta a confessarle fedelmente e ad osservarle con fermezza sino alla fine; 5e non ha marito, o se l’ha, ha già abbracciato la vita religiosa con l’autorità del vescovo diocesano ed ha già fatto voto di continenza; 6e se, inoltre, non è impedita dall’osservare questa vita da età avanzata o da qualche infermità o deficienza mentale, 7le si esponga diligentemente il tenore della nostra vita.
2757
8E se sarà idonea, le si dica la parola del santo Vangelo: che vada e venda[iv] tutte le sue sostanze e procuri di distribuirle ai poveri. 9Se ciò non potesse fare, basta ad essa la buona volontà.
2758
10Si guardino però l’abbadessa e le sue sorelle dal preoccuparsi per le cose temporali di lei, affinché ne disponga liberamente, come le verrà ispirato dal Signore. 11Se tuttavia domandasse consiglio, la indirizzino a persone prudenti e timorate di Dio[v], col consiglio delle quali vengano distribuiti i suoi beni.
2759
12Poi, tosati i capelli in tondo e deposto l’abito secolare, le conceda tre tonache e il mantello. 13Da quel momento non le è più lecito uscire fuori di monastero, senza un utile, ragionevole, manifesto e approvato motivo.
2760
14Finito poi l’anno della prova, sia ricevuta all’obbedienza, promettendo d’osservare sempre la vita e la forma della nostra povertà.
2761
15Non si conceda a nessuna il velo durante il tempo della prova. 16Le sorelle possono avere anche le mantellette per comodità e convenienza del servizio e del lavoro. 17L’abbadessa poi le provveda di vestimenti con discrezione, secondo la qualità delle persone, i luoghi e i tempi e i paesi freddi, conforme vedrà essere richiesto dalla necessità.
2762
18Le giovanette, accolte in monastero prima della legittima età, siano tosate in tondo 19e, deposto l’abito secolare, indossino un abito da religiosa, come parrà all’abbadessa. 20Raggiunta poi l’età legittima, vestite alla maniera delle altre, facciano la loro professione.
2763
21Ad esse, come alle altre novizie, l’abbadessa assegni con sollecitudine una maestra tra le più assennate del monastero, 22la quale le istruisca con cura intorno al modo di vivere santamente da religiose e alle oneste costumanze secondo la forma della nostra professione. 23Le medesime norme si osservino nell’esame e nell’accettazione delle sorelle che presteranno il loro servizio fuori del monastero; esse però potranno usare calzature(6).
2764
24Non si ammetta nessuna a dimorare con noi in monastero se non sia stata ricevuta secondo la forma della nostra professione.
2765
25E per amore del santissimo Bambino, ravvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio[vi], e della sua santissima Madre, ammonisco, prego caldamente ed esorto le mie sorelle a vestire sempre indumenti vili(7).
3.
Dell’ufficio divino e del digiuno.
Della Confessione e Comunione
2766
1Le sorelle che sanno leggere celebrino l’ufficio divino secondo la consuetudine dei frati minori, e perciò potranno avere i breviari, leggendo senza canto(8). 2Se qualcuna, per un motivo ragionevole, a volte non potesse recitare leggendo le sue Ore, le sia lecito dire i Pater noster, come le altre sorelle.
2767
3Quelle invece che non sanno leggere, dicano ventiquattro Pater noster per il Mattutino, cinque per le Lodi; 4per prima, terza, sesta e nona, per ciascuna di queste Ore, sette; per il Vespro dodici; per Compieta sette. 5Inoltre dicano ancora per i defunti sette Pater noster con il Requiem per il Vespro e dodici per il Mattutino, 6quando le sorelle che sanno leggere sono tenute a recitare l’Ufficio dei morti. 7Alla morte poi di una sorella del nostro monastero, dicano cinquanta Pater noster.
2768
8Le Sorelle digiunino in ogni tempo. 9Ma nel Natale del Signore, in qualunque giorno cada, possano rifocillarsi due volte. 10Con le giovanette, le deboli e le sorelle che servono fuori del monastero, si dispensi misericordiosamente, come parrà all’abbadessa. 11Ma in tempo di manifesta necessità, le sorelle non siano tenute al digiuno corporale.
2769
12Si confessino almeno dodici volte l’anno, con licenza dell’abbadessa. 13E devono guardarsi allora dal frammischiare altri discorsi che non facciano al caso della confessione e della salute dell’anima.
2770
14Si comunichino sette volte l’anno, cioè: nel Natale del Signore, nel Giovedì santo, nella Resurrezione del Signore, nella Pentecoste, nell’Assunzione della beata Vergine, nella festa di san Francesco e nella festa d’Ognissanti.
2771
15Per comunicare le sorelle, sia sane che inferme, è lecito al cappellano celebrare all’interno.
4.
Della elezione e dell’ufficio di abbadessa.
Del capitolo,
delle responsabili degli uffici
e delle discrete
2772
1Nella elezione dell’abbadessa le sorelle siano tenute ad osservare la forma canonica.
2773
2Esse poi procurino con sollecitudine di avere il ministro generale o provinciale dell’Ordine dei frati minori, 3il quale mediante la parola di Dio le disponga alla perfetta concordia e alla utilità comune nella elezione da farsi.
2774
4E non si elegga se non una professa. 5E se fosse eletta una non professa o venisse data in altro modo, non le si presti obbedienza se prima non avrà fatta la professione della forma della nostra povertà(9). 6Alla sua morte, si faccia l’elezione di un’altra abbadessa.
2775
7E se talora sembrasse alla generalità delle sorelle che la predetta non fosse idonea al servizio e alla comune utilità di esse, 8le dette sorelle siano tenute ad eleggerne, quanto prima possono e nel modo sopraddetto, un’altra per loro abbadessa e madre(10).
2776
9L’eletta poi consideri qual carico ha accettato sopra di sé e a Chi deve rendere conto[vii] del gregge affidatole(11). 10Si studi anche di presiedere alle altre più per virtù e santità di vita che per ufficio, affinché le sorelle, provocate dal suo esempio, le obbediscano più per amore che per timore.
2777
11Si guardi dalle amicizie particolari, affinché non avvenga che, amando alcune più delle altre, rechi scandalo a tutte.
2778
12Consoli le afflitte. Sia ancora l’ultimo rifugio delle tribolate[viii] perché, se mancassero presso di lei i rimedi di salute, non abbia a prevalere nelle inferme il morbo della disperazione(12).
2779
13Conservi la vita comune in tutto, ma specialmente in chiesa, in dormitorio, in refettorio, nell’infermeria e nelle vesti. 14E ciò è tenuta a fare allo stesso modo anche la sua vicaria(13).
2780
15L’abbadessa sia tenuta a convocare a Capitolo le sue sorelle, almeno una volta la settimana. 16Ivi, tanto lei quanto le sorelle debbano accusarsi umilmente delle comuni e pubbliche mancanze e negligenze. 17Ivi ancora discuta con le sue sorelle circa le cose da fare per l’utilità e il bene del monastero. 18Spesso infatti il Signore manifesta ciò che è meglio al più piccolo(14).
2781
19Non si contragga alcun debito grave, se non di comune consenso delle sorelle e per manifesta necessità, e questo per mezzo del procuratore. 20Si guardi poi l’abbadessa con le sue sorelle dal ricevere alcun deposito in monastero, 21poiché da ciò nascono spesso disturbi e scandali.
2782
22Allo scopo di conservare l’unità della scambievole carità e della pace, tutte le responsabili dell’ufficio del monastero vengano elette di comune consenso di tutte le sorelle. 23E nello stesso modo si eleggano almeno otto sorelle delle più assennate, del consiglio delle quali l’abbadessa è obbligata a servirsi in ciò che è richiesto dalla forma della nostra vita.
24Se qualche volta sembrasse utile e conveniente, le sorelle possano anche e debbano rimuovere le responsabili e le discrete ed eleggerne altre al loro posto.
5.
Del silenzio, del parlatorio e della grata
2783
1Le sorelle osservino il silenzio dall’ora di compieta fino a terza, eccettuate le sorelle che prestano servizio fuori del monastero. 2Osservino ancora silenzio continuo in chiesa, in dormitorio e in refettorio soltanto quando mangiano. 3Si eccettua l’infermeria, dove, per sollievo e servizio delle ammalate, sarà sempre permesso alle sorelle di parlare con moderazione. 4Possano tuttavia, sempre e ovunque, comunicare quanto è necessario, ma con brevità e sottovoce.
2784
5Non sia lecito alle sorelle accedere al parlatorio o alla grata, senza licenza dell’abbadessa o della sua vicaria; 6e quelle che ne hanno licenza, non ardiscano parlare nel parlatorio, se non alla presenza e ascoltate da due sorelle.
2785
7Non presumano poi di recarsi alla grata, se non siano presenti, assegnate dall’abbadessa o dalla vicaria, almeno tre di quelle otto discrete che furono elette da tutte le sorelle come Consiglio dell’abbadessa. 8Questa forma nel parlare siano tenute ad osservarla per conto proprio anche l’abbadessa e la sua vicaria. 9E quanto si è detto per la grata avvenga molto di rado; alla porta poi non si faccia in nessun modo. 10A detta grata sia applicata dalla parte interna un panno, che non sia tolto se non quando si predica la divina parola o alcuna parli a qualcuno. 11Abbia inoltre una porta di legno, ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e chiavistelli, 12affinché, specialmente di notte, sia chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga l’abbadessa e l’altra la sacrestana; 13e rimanga sempre chiusa, fuorché quando si ascolta il divino ufficio e per i motivi sopra esposti. 14Non è lecito assolutamente a nessuna parlare ad alcuno alla grata prima della levata del sole o dopo il tramonto.
2786
15Al parlatorio poi, vi sia sempre, dalla parte interna, un panno che non deve essere rimosso per nessun motivo. 16Durante la quaresima di san Martino e la quaresima maggiore nessuna parli al parlatorio, 17se non al sacerdote per motivo di confessione o di altra manifesta necessità. Ciò è riservato alla prudenza dell’abbadessa o della sua vicaria.
6.
Le promesse del beato Francesco
e del non avere possedimenti
2787
1Dopo che l’altissimo Padre celeste si degnò illuminare l’anima mia mediante la sua grazia perché, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro Francesco, io facessi penitenza, poco tempo dopo la conversione di lui, liberamente, insieme con le mie sorelle, gli promisi obbedienza(15).
2788; *2789
2Il beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica, tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l’avevamo in conto di grande delizia, mosso da paterno affetto, scrisse per noi la forma di vita in questo modo: 3»Poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, 4voglio e prometto, da parte mia e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, attenta cura e sollecitudine speciale».
5*Ciò che egli con tutta fedeltà ha adempiuto finché visse, e volle che dai frati fosse sempre adempito.
2790
6E affinché non ci allontanassimo mai dalla santissima povertà che abbracciammo, e neppure quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di nuovo scrisse per noi la sua ultima volontà con queste parole: 7»Io frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa sino alla fine[ix]. 8E prego voi, mie signore e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. 9E guardatevi molto bene dall’allontanarvi mai da essa in nessuna maniera per l’insegnamento o il consiglio di alcuno»(16).
2791
10E come io, insieme con le mie sorelle, sono stata sempre sollecita di mantenere la santa povertà che abbiamo promesso al Signore Iddio e al beato Francesco, 11così le abbadesse che mi succederanno nell’ufficio e tutte le sorelle siano tenute ad osservarla inviolabilmente fino alla fine: 12a non accettare, cioè, né avere possedimenti o proprietà né da sé, né per mezzo di interposta persona, 13e neppure cosa alcuna che possa con ragione essere chiamata proprietà, 14se non quel tanto di terra richiesto dalla necessità, per la convenienza e l’isolamento del monastero; 15ma quella terra sia coltivata solo a orto per il loro sostentamento.
7.
Del modo di lavorare
2792
1Le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, lavorino, dopo l’ora di terza, applicandosi a lavori decorosi e di comune utilità, con fedeltà e devozione, 2in modo tale che, bandito l’ozio, nemico dell’anima, non estinguano lo spirito[x] della santa orazione e devozione, al quale tutte le altre cose temporali devono servire.
2793
3E l’abbadessa o la sua vicaria sia tenuta ad assegnare in capitolo, davanti a tutte, il lavoro che ciascuna dovrà svolgere con le proprie mani(17). 4Ci si comporti allo stesso modo quando qualche persona mandasse delle elemosine, affinché si preghi in comune per lei.
2794
5E tutte queste cose vengano distribuite dall’abbadessa o dalla sua vicaria col consiglio delle discrete a comune utilità.
8.
Che le sorelle non si approprino di nulla.
Del chiedere l’elemosina
e delle sorelle ammalate
2795
1Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, 2e come pellegrine e forestiere[xi] in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, con fiducia mandino per la elemosina. 3E non devono vergognarsi, poiché il Signore si fece per noi povero in questo mondo. 4È questo quel vertice dell’altissima povertà[xii], che ha costituto voi, sorelle mie carissime, eredi e regine del regno dei cieli[xiii], vi ha reso povere di sostanze, ma ricche di virtù. 5Questa sia la vostra parte di eredità, che introduce nella terra dei viventi[xiv]. 6Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle dilettissime, avere altro sotto il cielo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo(18) e della sua santissima Madre.
2796
7Non sia lecito ad alcuna sorella mandare lettere, o ricevere o dare cosa alcuna fuori del monastero, senza licenza dell’abbadessa. 8Né sia lecito tenere cosa alcuna che non sia stata data o permessa dall’abbadessa. 9Che se le venga mandato qualche cosa dai parenti o da altri, l’abbadessa gliela faccia consegnare. 10La sorella poi, se ne ha bisogno, la possa usare; se no, né faccia parte caritatevolmente alla sorella che ne ha bisogno. 11Se poi le fosse stato mandato del denaro, l’abbadessa, con consiglio delle discrete, le faccia procurare ciò di cui ha bisogno.
2797
12Riguardo alle sorelle ammalate, l’abbadessa sia fermamente tenuta, da sé e per mezzo delle altre sorelle, a informarsi con sollecitudine di quanto richiede la loro infermità, sia quanto a consigli, sia quanto ai cibi ed alle altre necessità, 13e a provvedere con carità e misericordia, secondo la possibilità del luogo. 14Poiché tutte sono tenute a provvedere e a servire le loro sorelle ammalate, come vorrebbero essere servite esse stesse nel caso che incorressero in qualche infermità(19).
2798
15L’una manifesti all’altra con confidenza la sua necessità. 16E se una madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanta maggiore cura deve una sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale!(20)
2799
17Quelle che sono inferme, potranno usare pagliericci e avere guanciali di piuma sotto il capo; 18e quelle che hanno bisogno di calze e di materasso di lana, ne possano usare. 19Le suddette inferme, poi, quando vengono visitate da quelli che entrano nel monastero, possano, ciascuna per proprio conto, rispondere brevemente con qualche buona parola a chi rivolge loro la parola.
2800
20Le altre sorelle, invece, che pur ne hanno licenza, non ardiscano parlare a quelli che entrano nel monastero, se non alla presenza e ascoltate da due discrete, designate dall’abbadessa o dalla sua vicaria. 21Questa forma nel parlare siano tenute ad osservarla anche l’abbadessa e la sua vicaria.
9.
Della penitenza
da imporre alle sorelle che peccano,
e delle sorelle
che prestano servizio fuori del monastero
2801
1Se qualche sorella, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente contro la forma della nostra professione e, ammonita due o tre volte dall’abbadessa o da altre sorelle, 2non si sarà emendata, mangi per terra pane e acqua in refettorio, alla presenza di tutte le sorelle, tanti giorni quanti sarà stata contumace, 3e, se l’abbadessa lo riterrà necessario, sia sottoposta a pena anche più grave. 4Frattanto, finché rimarrà ostinata, si preghi affinché il Signore disponga il suo cuore a penitenza.
2802
5Tuttavia, l’abbadessa e le sue sorelle si guardino dallo adirarsi e turbarsi per il peccato di alcuna, 6perché l’ira e il turbamento impediscono la carità in se stesse e nelle altre(21).
2803
7Se accadesse, il che non sia, che fra una sorella e l’altra sorgesse talvolta, a motivo di parole o di segni, occasione di turbamento e di scandalo, 8quella che fu causa di turbamento, subito, prima di offrire avanti a Dio l’offerta[xv] della sua orazione, non soltanto si getti umilmente ai piedi dell’altra domandando perdono, 9ma anche con semplicità la preghi di intercedere per lei presso il Signore perché la perdoni. 10L’altra poi, memore di quella parola del Signore: «Se non perdonerete di cuore, nemmeno il Padre vostro celeste perdonerà voi[xvi], 11perdoni generosamente alla sua sorella ogni offesa fattale»(22).
2804
12Le sorelle che prestano servizio fuori del monastero, non rimangano a lungo fuori, se non lo richieda una causa di manifesta necessità. 13E devono andare per via con onestà e parlare poco, affinché possano essere sempre motivo di edificazione per quanti le vedono. 14E si guardino fermamente dall’avere rapporti o incontri sospetti con alcuno. 15Né facciano da madrine a uomini o donne, affinché per queste occasioni non nasca mormorazione o turbamento.
2805
16Non ardiscano riportare in monastero le chiacchiere del mondo. 17E di quanto si dice o si fa dentro siano tenute a non riferire fuori dal monastero nulla che possa provocare scandalo. 18Se capitasse a qualcuna di mancare in queste due cose, per semplicità, spetta alla prudenza dell’abbadessa imporle con misericordia la penitenza. 19Se invece lo facesse per cattiva consuetudine, l’abbadessa, secondo la qualità della colpa, col consiglio delle discrete imponga una penitenza.
10.
Della ammonizione
e correzione delle sorelle
2806
1L’abbadessa ammonisca e visiti le sue sorelle e le corregga con umiltà e carità, non comandando loro cosa alcuna che sia contro la sua anima e la forma della nostra professione.
2807
2Le sorelle suddite, poi, ricordino che hanno rinunciato alla propria volontà per amore di Dio. 3Quindi siano fermamente tenute a obbedire alle loro abbadesse in tutte le cose che hanno promesso al Signore di osservare e che non sono contrarie all’anima e alla nostra professione.
2808
4L’abbadessa poi, usi verso di loro tale familiarità che possano parlarle e trattare con lei come usano le padrone con la propria serva, 5poiché così deve essere, che l’abbadessa sia la serva di tutte le sorelle.
2809
6Ammonisco poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo[xvii], dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione(23).
2810
7Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione.
2811
8E quelle che non sanno di lettere, non si curino di apprenderle, 9ma attendano a ciò che soprattutto debbono desiderare: avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, 10a pregarlo sempre con cuore puro e ad avere umiltà, pazienza nella tribulazione e nella infermità, 11e ad amare quelli che ci perseguitano, riprendono e accusano, 12perché dice il Signore: «Beati quelli che soffrono persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. 13Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo»[xviii].
11.
Della custodia della clausura
2812
1La portinaia sia matura come condotta e prudente, e sia di età conveniente. Di giorno rimanga ivi in una cella aperta, senza uscio. 2Le si assegni anche una compagna idonea, la quale, quando ci sarà bisogno, faccia in tutto le sue veci.
2813
3La porta sia ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e chiavistelli, 4affinché, specialmente di notte, sia chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga la portinaia, l’altra l’abbadessa. 5E di giorno non si lasci mai senza custodia e sia stabilmente chiusa a chiave. 6Badino poi, con ogni diligenza e procurino che la porta non rimanga mai aperta, se non il minimo possibile secondo la convenienza. 7E non si apra affatto a chiunque voglia entrare, ma solo a coloro cui sia stato concesso dal sommo pontefice o dal nostro signor cardinale.
2814
8E non permettano che alcuno entri in monastero prima della levata del sole, né vi rimanga dopo il tramonto, se non l’esiga una causa manifesta, ragionevole e inevitabile. 9Qualora per la benedizione dell’abbadessa, o per la consacrazione a monaca di qualche sorella, o per qualche altro motivo, venga concesso a qualche vescovo di celebrare la Messa nell’interno del monastero, si accontenti del minor numero possibile di compagni e ministri che siano di buona fama.
2815
10Quando poi fosse necessario introdurre nel monastero qualcuno per compiervi dei lavori, l’abbadessa con sollecitudine ponga alla porta una persona adatta, 11che apra solo agli addetti ai lavori e non ad altri. 12Tutte le sorelle si guardino, allora, con somma diligenza, che non siano vedute da coloro che entrano.
12.
Del visitatore, del cappellano
e del cardinale protettore
2816
1Il nostro visitatore sia sempre dell’Ordine dei frati minori, secondo la volontà e il mandato del nostro cardinale. 2E sia tale che ne conosca bene l’integrità di vita. 3Sarà suo compito correggere, tanto nel capo che nelle membra, le mancanze commesse contro la forma della nostra professione. 4Egli, stando in luogo pubblico, donde possa essere veduto dalle altre, potrà parlare a molte o a ciascuna in particolare, secondo riterrà più conveniente, di ciò che spetta all’ufficio della visita.
2817
5Chiediamo anche in grazia, allo stesso Ordine, un cappellano con un compagno chierico, di buona fama, discreto e prudente, e due frati laici, amanti del vivere santo e onesto, 6in aiuto alla nostra povertà, come abbiamo avuto sempre misericordiosamente dal predetto Ordine dei frati minori; 7e questo per amore di Dio e del beato Francesco.
2818
8Al cappellano non sia lecito entrare in monastero senza il compagno. 9Ed entrando, stiano in luogo pubblico, così che possano vedersi l’un l’altro ed essere veduti dagli altri. 10È loro lecito entrare per la confessione delle inferme che non potessero recarsi in parlatorio, per comunicare le medesime, per l’Unzione degli infermi, per la raccomandazione dell’anima. 11Per le esequie poi, e le messe solenni dei defunti, o per scavare o aprire la sepoltura, o anche per rassettarla, possono entrare persone idonee a sufficienza, secondo il prudente giudizio dell’abbadessa.
2819;*2820
12Inoltre le sorelle siano fermamente tenute(24) ad avere sempre come governatore, protettore e correttore, quel cardinale della santa Chiesa romana che sarà stato assegnato ai frati minori dal signor Papa; 13*affinché suddite sempre e soggette ai piedi della stessa santa Chiesa, salde nella fede[xix] cattolica, osserviamo in perpetuo la povertà e l’umiltà del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e il santo Vangelo, come abbiamo fermamente promesso. Amen.
2821
14Dato a Perugia, il 16 settembre, l’anno decimo del pontificato del signor papa Innocenzo IV(25).
2822
15Pertanto a nessuno sia lecito invalidare questa scrittura della nostra conferma od opporvisi temerariamente.
16Se qualcuno poi presumerà di attentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Assisi, il 9 agosto, l’anno undicesimo del nostro pontificato(26).
NOTE
(1) Seguiamo la divisione in versetti disposta da I. BOCCALI, Concordantiae verbales opusculorum S. Francisci et S. Clarae Assisiensium, S. Mariae Angelorum – Assisii 1976.
(2) Forma di vita, corrisponde a Regola e vita delle due Regole di san Francesco per i frati minori: espressione più comprensiva del semplice termine Regola. I due documenti ecclesiastici, come poi il seguito del testo, affermano l’identità tra il testo che segue, elaborato certamente assai più tardi, sulla falsariga della Regola bollata di san Francesco, e l’abbozzo consegnato a «voce e in scritto» da Francesco.
(3) Sorores Pauperes, Sorelle Povere è il primo nome dato alle suore del secondo Ordine, fondato da Francesco d’Assisi. Tale nome sottolinea le due note fondamentali del medesimo, come del resto fa la Bolla d’approvazione: unità nella carità, altissima povertà.
(4) Chiara afferma categoricamente che la forma di vita da lei abbracciata l’ha ricevuta da san Francesco, rivendicando a lui la paternità del suo Ordine.
(5) Il testo della Regola di santa Chiara segue ordinatamente quello della Regola bollata dei frati minori; Chiara però veglia sulla stesura per fermare e sottolineare con chiarezza i legami che ritiene essenziali per il nuovo Ordine: osservanza del Vangelo, obbedienza al Papa e alla Chiesa, obbedienza a san Francesco e ai successori di lui. Tutte poi sono tenute ad obbedire alla abbadessa che esprime tali impegni e legami.
(6) Si ricorda l’eccezione, anche se non appare nella Regola di santa Chiara – e neppure in quelle di san Francesco – un precetto specifico riguardante il divieto di portare calzature. È dato per scontato, avendo abbracciato il modo di vita degli apostoli (cfr. Mt. 10, 18).
(7) Nel contesto dell’ammonizione, comune alla Reg. boll. 2, 17, Chiara inserisce la motivazione dell’uso di vesti vili: amore a Cristo e alla sua madre povera (cfr. Testamento, 45; IV Lett., 19-21).
(8) Anche per l’ufficio divino, Chiara sceglie la forma seguita dai frati minori, piuttosto che quella in uso presso i monasteri di più antica Regola. La forma avverbiale ex quo è diversamente interpretata: perciò (una legittimazione riguardante la povertà: potranno avere i breviari), oppure da quando (in senso temporale. Ma se questa assenza di breviari era capibile nel 1223 per i frati minori – cfr. Reg. boll. 3 – e legittimava il ricorso all’ufficio dei Pater noster, lo è meno nel 1253 e in un monastero).
(9) Ad assicurarsi la custodia fedele della «forma della nostra povertà» – e qui si intende l’essenza della Regola stessa – santa Chiara dispone due norme: la preparazione della elezione mediante la presenza del rappresentante dell’Ordine dei frati minori; che la eligenda abbia professato secondo questa Regola.
(10) Chiara applica al governo interno del suo monastero quanto Francesco aveva stabilito per i frati nel caso di insufficienza del ministro generale eletto. Cfr. Reg. boll. 8, 5.
(11) Come per Francesco, anche per Chiara l’autorità è soprattutto una enorme responsabilità sulle anime affidate al superiore. Riprende perciò le parole della Reg. non boll. 4, 6 e 5, 1 incentrate sul passo evangelico, risolvendo però in modo proprio la riflessione che Francesco desume dall’esempio di Cristo venuto «non per farsi servire ma per servire» (cfr. Mt. 20, 28): esortando a presiedere con la vita e con l’amore più che in forza dell’ufficio.
(12) Questi due passi: sulle amicizie particolari e sulla consolazione delle afflitte, li troviamo nella descrizione che Francesco ha fatto della figura del ministro generale dei frati; cfr. 2 Cel. 185. E qui la frase «privatis amoribus careat» viene dilatata ad indicare tutte le forme di preferenze: «non presenti alcun angolo oscuro di turpe favoritismo».
(13) La versione ufficiale (in italiano) di questo passo è: «Osservi la vita comune in tutto». Questa interpretazione della frase latina: Communitatem servet in omnibus, ha una sua suggestività, in quanto caratterizzerebbe il regime fraternitario di una comunità di clarisse: anche la abbadessa e la sua vicaria devono vivere come le altre, con l’esclusione di ogni privilegio; ma il verbo latino servare non significa osservare (observare) quanto piuttosto conservare, custodire; indicherebbe dunque una attitudine di vigilanza perché sia conservato qualche cosa. D’altra parte la voce Communitas non significa propriamente vita comune (in senso giuridico), quanto piuttosto uguaglianza di vita, di diritti, ecc. E perciò la frase significa che la abbadessa ha il compito di vigilare perché non sorgano nella comunità situazioni di privilegio per nessuna delle sorelle e in nessun luogo: sottolineano l’uguaglianza nella vita per conservare l’»unità della scambievole carità», come è detto più sotto (22). Nel Testamento (65) troviamo un’altra possibile interpretazione del termine Communitas: «Sit etiam tam benigna et communis…», sia ancora tanto affabile e alla portata di tutte. Ed avremmo: «Conservi l’affabilità in tutto…».
(14) Anche qui santa Chiara prende la istituzione del «Capitolo», che, secondo la Reg. boll. 8, i ministri provinciali potevano fare ogni anno nelle loro province, e la introduce nel suo monastero. Come i primi Capitoli dei frati, questi incontri settimanali delle suore non erano solo per confessare le proprie colpe (Capitolo dele colpe) e neppure prima di tutto per eleggere l’abbadessa, ma veri incontri familiari nei quali si studiava e organizzava e rivedeva la propria vita.
(15) È questo il capitolo centrale di tutta la Regola, poiché in esso è espresso il punto-chiave, il principio fontale di questa nuova forma di vita religiosa. Mentre negli altri capitoli si avverte la presenza di giuristi e consiglieri ed anche l’attenzione a seguire passo passo il testo della Regola bollata dei frati minori, in questo si ha l’impressione che parli direttamente Chiara; e difatti è una storia della propria vita, più che un complesso di norme. Il capitolo è ripreso nel Testamento di Chiara (24-43), dove però non sono riportati i due scritti di Francesco che qui Chiara rievoca con parole commosse. Si noti anche l’attenzione di Chiara al Testamento di san Francesco: la sua conversione è, anche per Chiara, incominciare «a fare penitenza».
(16) Questi due biglietti sono riportati tra gli «scritti di san Francesco» come: «forma di vita» e «ultima volontà». Che Francesco abbia steso per santa Chiara e le sue figlie una «forma di vita» e si sia preoccupato di loro durante tutta la sua vita e perfino sul letto di morte, è documentato anche da 2 Cel. 204; il quale, pur non parlando di tale «forma», ne trascrive però la sostanza, che è la professione e osservanza perfetta della «povertà altissima, nello splendore di ogni virtù», e l’impegno di Francesco di averne cura fino alla fine, impegno che, «prossimo a morire, comandò con premura che si continuasse sempre».
(17) Così viene intesa la frase latina: «Et id quod manibus suis operantur, assignare in capitulo abbatissa vel eius vicaria coram omnibus teneatur», anche dalla traduzione ufficiale italiana, conferendo un profondo significato al lavoro, nella linea della fraternità: spetta a tutte la programmazione del lavoro di ognuna delle sorelle. Altri – e decisamente l’Iriarte (cfr. Letra y espiritu de la Regla de santa Clara, Valencia 1975, p. 123) – interpreta invece: «… sia tenuta a distribuire, nel capitolo, alla presenza di tutte, quanto è stato prodotto col lavoro delle loro mani»: «los trabajos realizados», con sottolineatura, in ordine alla povertà, della assenza di qualsiasi diritto da parte delle singole a trattenersi per sé il frutto del loro lavoro. In questo caso, però, non ci si spiegherebbe il comma conclusivo (5), che parla appunto della distribuzione di tutto quanto viene prodotto o donato al monastero «a comune utilità», e questa distribuzione fatta dalla abbadessa o vicaria col consiglo delle discrete.
(18) Fino a qui Chiara ha trascritto letteralmente il capitolo VI della Regola bollata dei frati minori. Suo è il richiamo all’amore per la Madre di Cristo.
(19) Memore degli esempi e degli insegnamenti di Francesco riguardo alla cura dei frati infermi, Chiara sviluppa secondo la sua sensibilità materna, l’invito schematico della Reg. boll. 6.
(20) Collocata nel contesto delle norme per la cura delle sorelle inferme, questa frase che in Reg. boll. 6 è di carattere generale, sembra ridotta nella ricchezza umana e spirituale. Ma che Chiara l’applichi poi per tutti i rapporti tra le suore, lo si può ricavare abbondantemente dal capitolo che segue e dal Testamento, 59.
(21) Là dove Francesco imponeva soltanto il ricorso ai ministri perché essi imponessero la penitenza, Chiara studia una pratica penitenziale immediata e concreta in seno alla comunità stessa, badando ai molteplici effetti che tale peccato e conseguente penitenza pubblica possono arrecare a chi ha peccato e all’intera comunità: esempio, preghiera comune, misericordia e carità. Da Francesco prende l’esortazione a non adirarsi; cfr. Reg. boll. 7, 5.
(22) Esempio di questa pratica in Spec. 51.
(23) Questo capitolo riprende integralmente Reg. boll. 9, ma Chiara vi inserisce di proprio questo duplice monito che accentua ancor più le esigenze della carità reciproca: «… dalla discordia e dalla divisione. Siano invece sollecite…». L’espressione: «unità della scambievole carità» è già ricorsa al cap. 4, 22. L’amore reciproco è con la povertà uno dei cardini della loro vita e vocazione. Cfr. Testamento, 59-70.
(24) Da questo punto Chiara si affida di nuovo alla Regola dei frati minori, per concludere con una ferma protesta di fedeltà al Vangelo e alla professione dell’umiltà e povertà di Cristo e della sua Madre, mediante il vincolo del cardinal protettore; che deve essere quello stesso che sarà assegnato per i frati minori.
(25) Anno 1252.
(26) Anno 1253. Dalla Leggenda apprendiamo le circostanze sia della lettera del cardinal Rinaldo contenente il testo da lui approvato della Regola – in seguito alla pressante richiesta di Chiara quando il cardinale venne a farle visita al suo capezzale (c. 27) –, sia della bolla pontificia. L’anno dopo, il 9 agosto, papa Innocenzo IV, avendo saputo delle condizioni della Santa, viene a farle visita, e Chiara ne approfitta per esprimergli il suo supremo desiderio: vedere approvata con una bolla pontificia la sua Regola (c. 28). E così avviene: nello stesso giorno o il successivo, dei frati recapitano alla Santa la bolla che Innocenzo ha fatto stendere immediatamente, inserendovi la lettera di Rinaldo con il testo della Regola; Chiara può stringerla tra le mani e baciarla; il giorno dopo, 11 agosto, muore felice confortata da una visione celeste (cfr. Atti del Processo, III testimone).
[i] Cf. 2 Cor. 8, 2
[ii] Cf. 1 Pt. 2, 21
[iii] Cf. 2 Cor. 8, 2
[iv] Cf. Mt. 19, 21
[v] Cf. At. 13, 16
[vi] Cf. Lc. 2, 7.12
[vii] Cf.: Mt. 12, 36 e… Eb. 13, 17
[viii] Sal. 31, 7
[ix] Cf. Mt. 10, 22
[x] Cf. 1 Ts. 5, 19
[xi] Cf. Sal. 38, 13; 1 Pt. 2, 11
[xii] Cf. 2 Cor. 8, 9 e… 2 Cor. 8, 2
[xiii] Cf. Mt. 5, 3; Lc. 6, 20
[xiv] Cf. Sal. 141, 6
[xv] Cf. Mt. 5, 23
[xvi] Mt. 6, 15; 18, 35
[xvii] Cf. Lc. 12, 15 e… Mt. 13, 22; Lc. 21, 34
[xviii] Mt. 5, 10… Mt. 10, 22
[xix] Cf. Col. 1, 23